La settimana missionaria nella nostra comunità…

Ottobre, tempo di missione. Quello che, come comunità pastorale e diocesana, ogni anno, ricordiamo in particolar modo proprio questo mese. Diversi appuntamenti lo hanno caratterizzato: la preghiera del rosario per le missioni e i missionari, la testimonianza di padre Cesare Ciceri, nostro compaesano scalabriniano in missione a Rio de Janeiro, la raccolta straordinaria di offerte per le Pontificie Opere Missionarie.

L’intensità di ciascun momento è stata occasione per riflettere su alcuni aspetti della fede cristiana che, accomunandoci, ci può portare a far conoscere ciò che portiamo nel cuore.

Don Sergio, nella proposta del rosario missionario “testimoni e profeti”, ha avviato la riflessione con queste parole: “un rosario è missionario quando è capace di andare fino ai confini del mondo non soltanto con le parole, le lingue e le intenzioni, ma col cuore! Un rosario è missionario quando ogni singola parola del rosario ti interpella, te la senti addosso, ti scorre nelle vene…è missionario quando il tempo della preghiera è lo spazio dove inizi ad agire e quando lo reciti con cuore, mente e mani e occhi apertissimi è per sconfiggere il peggiore di tutti i mali: l’indifferenza!”

La testimonianza di padre Cesare ci ha introdotto al centro della sua missione attuale, al porto di Rio di Janeiro, dove esprime il suo carisma scalabriniano: lavorando coi marinai, offrendo assistenza religiosa anche ai non cattolici, in un clima di ecumenismo concreto e non solo teorico. Ecco alcune sue parole…

Visitiamo navi e diamo disponibilità all’uso di internet per chiamare le famiglie lontane, ci rechiamo con loro dal medico per chi ha bisogno di medicine. Un’esperienza concreta interessante è stato insegnare a un uomo filippino l’uso di skype per collegarsi alla famiglia e quando dopo ore e ore è riuscito a vedere sua figlia nata da 6 mesi che non aveva mai visto, si è messo a gridare di gioia, ed è stata una reazione grande, da grande commozione, nell’esperienza di sentirsi vicini che cambia la vita e le persone, perché si conoscono le persone nell’intimo e con grande sincerità.

I marinai che scendono dalla nave trovano la casa nelle realtà delle Stella Maris, una chiesa cioè attenta a loro attraverso l’apostolato del mare, per i marittimi e le loro famiglie. Quando si sale sulle loro navi, si entra a casa loro, e bisogna portare rispetto, come quando voi invitate ospiti a casa vostra. In quest’ultimo anno abbiamo visitato 135 navi e abbiamo incontrato 2142 marinai, ogni nave ha tra i 15 e 25 marinai, ma il lavoro è sempre faticoso perché molto manuale. Nonostante questo molte compagnie offrono salari bassi per un lavoro che dura almeno 18 ore al giorno…chi lo farebbe?

Accanto al lavoro missionario in porto, sono anche parroco con i lavori usuali tra le varie equipe di catechesi, incontri biblici, gruppi caritativi, pastorale famigliare, celebrazioni nelle quali si vede una grande religiosità popolare che è espressione di fede ma che necessita però di assumersi la responsabilità di Chiesa, di portare avanti le sue attività.

Essere missionario è stare con la gente, scoprire che la gente ama il Signore come lo amiamo noi qui e poter dire “sto qui per camminare con te e conoscere lo stesso Dio”. Si prega e si ama in maniera nuova e differente, rispettando le diverse culture. L’essere missionario è sapere che stiamo servendo lo stesso Signore, con bontà e allegria, ognuno cercando di imparare arricchendo con i doni che ha dalle sue origini…vivere il proprio Battesimo è essere missionario e profeta.

Ancora in questi giorni di fine ottobre, possiamo continuare a lasciarci interpellare dalla domanda “come viviamo la nostra missione?” Perché anche nella nostra città, nelle nostre famiglie, nei luoghi di lavoro e di svago che frequentiamo, vivere la missione è vivere una dimensione della nostra fede. É essere testimoni e profeti, proprio come suggerisce papa Francesco nel suo messaggio per la giornata missionaria esortando a “non tacere quello che si è visto e ascoltato”

Raccogliamo un consiglio che padre Cesare ci ha lasciato, quello di prendere dalla realtà brasiliana il coraggio di esprimere con il corpo e con l’allegria della vita la nostra fede, e come laici di prendere coscienza di essere tutti insieme noi a fare la chiesa.

Che questo tempo missionario, possa continuare!