Nella settimana appena trascorsa, la prima lettura delle Messe feriali nella liturgia ambrosiana ci ha proposto il capitolo 10 degli Atti degli Apostoli, con la conversione del primo pagano – il centurione Cornelio – seguita dal suo incontro con Pietro e dal suo Battesimo. L’opera che oggi ci guiderà nella riflessione è di Federico Zuccari, chiamato a completare gli affreschi della Cappella Paolina del Palazzo Apostolico in Vaticano.
Iniziamo da qualche informazione sul pittore e sull’ubicazione dell’affresco.
Federico Zuccari, nato nel 1539 nei pressi di Urbino e morto nel 1609 ad Ancona, fu esponente del manierismo italiano. Convinto accademico e anti-naturalista, ritenne inaccettabile e indecorosa la pittura di Caravaggio, suo grande contemporaneo. Trasferitosi giovanissimo a Roma, nella bottega del fratello Taddeo, già affermato pittore, lo aiutò nel completamento delle decorazioni del Casino di papa Pio IV, del Belvedere e dei palazzi Farnese di Roma e Caprarola. Dopo la morte di Taddeo, terminò tutti i lavori da questo lasciati incompiuti a Roma e nella Villa d’Este a Tivoli. Trasferitosi in Inghilterra, vi eseguì importanti ritratti, tra cui quello della regina Elisabetta I e di Maria Stuarda. Nel 1580 fu richiamato a Roma da papa Gregorio XIII per completare gli affreschi della Cappella Paolina, iniziati da Michelangelo. Lavorò poi in Spagna, eseguendo affreschi all’Escorial su commissione di Filippo II di Spagna di cui fu pittore di corte, per poi tornare definitivamente a Roma.
La Cappella dei Santi Pietro e Paolo – più conosciuta con il nome di Cappella Paolina – deve il suo nome a papa Paolo III che la fece costruire tra il 1537 e il 1539. Aveva funzioni di cappella “parva” (piccola) palatina, in contrapposizione alla cappella “magna”, la Cappella Sistina. Vi si esponeva il Santissimo Sacramento e, fino al 1670, veniva anche utilizzata per la raccolta dei voti durante il conclave. In quanto cappella privata del Santo Padre, è al di fuori del percorso dei Musei Vaticani e non è comunemente aperta al pubblico. Fu ufficialmente consacrata il 25 gennaio 1540 e, subito dopo, un Michelangelo ormai ultrasessantenne – che aveva da poco concluso il Giudizio universale nella Cappella Sistina – fu incaricato di decorarla con storie dei primi apostoli. Tra il 1542 e il 1550 l’artista realizzò due grandi affreschi: la Conversione di san Paolo e la Crocifissione di san Pietro. La decorazione fu poi completata durante il pontificato di Gregorio XIII da Lorenzo Sabatini (che tra il 1573 e il 1576 dipinse altri episodi della vita dei santi Pietro e Paolo) e da Federico Zuccari che affrescò, tra il 1580 e il 1585, il Battesimo del centurione Cornelio, nonché l’intera volta della navata.
L’affresco di Zuccari completa il trittico dedicato a san Pietro ed è di fronte ai tre dipinti di Michelangelo e Sabatini – che ci parlano invece di san Paolo – in una serie di parallelismi e antitesi, formata da due scene di battesimo (Cornelio e san Paolo), da due martirii (san Pietro e santo Stefano) e da due ‘cadute’ (Simon mago e san Paolo). Se le prime due coppie richiamano la centralità dei sacramenti e il tema del martirio, l’ultima ha valore antinomico e contrappone la caduta del mago eretico alla ‘caduta’ del persecutore che si converte e diventa apostolo.
Nel Battesimo del centurione Cornelio (qui mostrato nel trittico ‘petrino’, da esso isolato e con tre dettagli) il pittore marchigiano riesce a condensare l’intero capitolo 10 degli Atti degli Apostoli. Cornelio, «centurione della coorte detta Italica» (il primo pagano battezzato è italiano!), «timorato di Dio con tutta la sua famiglia» riceve in visione un angelo di Dio che gli dice di mandare un suo soldato – anch’egli uomo religioso – a chiamare Pietro. A Giaffa, dopo aver fatto uno strano sogno, all’apostolo viene ordinato dallo Spirito di seguire gli emissari di Cornelio: raggiunge così la sua casa e lo incontra. Si rende conto che «Dio non fa preferenza di persone» e che Cristo «è il Signore di tutti»; e proprio mentre Pietro acquista questa consapevolezza che cambia profondamente il suo “vecchio” modo di pensare Dio e la Chiesa, lo Spirito Santo discende sopra Cornelio e su tutti i pagani presenti: e l’apostolo «ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo».
Sia nel brano degli Atti che nel dipinto di Zuccari il vero protagonista è lo Spirito Santo, la cui presenza e la cui azione guidano i passi di Cornelio e di Pietro.
Nell’affresco, il dettaglio dello Spirito Santo – che, sotto forma di colomba, domina la parte alta – e la scena del Battesimo – nella parte inferiore – mostrano una nuova Pentecoste, la “Pentecoste dei pagani”. Così come nella prima Pentecoste di Gerusalemme, nell’affresco – sulla sinistra – c’è lo stupore dei fedeli ebrei che erano venuti con Pietro «che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo» (v. 45), cosa per loro inimmaginabile. C’è il raccoglimento riconoscente del centurione inginocchiato davanti a Pietro; c’è la gioia contenuta ma intensa che traspare dai visi dei sei familiari che circondano Cornelio – per tutti bastino lo sguardo dolcissimo della moglie alle sue spalle e le occhiate complici e struggenti delle due figlie seminascoste dalle figure in primo piano; c’è l’espressione rapita del soldato che condivide col suo comandante la gioia della fede e del Battesimo.
E c’è, soprattutto – reso con l’accademica perfezione di un maestro del manierismo cinquecentesco – il gesto solenne e ieratico dell’apostolo Pietro che ha ormai capito e che si è arreso alla novità dello Spirito.
Nel mezzo dell’affresco Zuccari ha voluto anche riprodurre – fatto alquanto raro, se non unico nella storia dell’arte – il sogno di Pietro a Giaffa, che – rapito in estasi – per tre volte vede una «grande tovaglia, calata a terra per i quattro capi» nella quale «c’era ogni sorta di quadrupedi, rettili della terra e uccelli del cielo» (vv. 11-12). All’invito di uccidere e mangiare, Pietro reagisce rifiutando tutto ciò che ritiene essere profano o impuro. Mentre, perplesso, pensa al significato della visione, lo Spirito gli dice di seguire i tre uomini mandati da Cornelio.
A Pietro viene chiesto di cambiare radicalmente, lasciando cadere una prassi secolare di prescrizioni alimentari e, soprattutto, di relazioni umane. Gli viene chiesto di fidarsi, di lasciarsi guidare dall’azione vivificante dello Spirito Santo per creare una chiesa nuova, una chiesa aperta al soffio sempre sorprendente di Dio (in ebraico la parola che corrisponde a “spirito” è רוח (ruah), che significa proprio “soffio”, “aria”, “vento”, “respiro” e indica la Potenza divina che può riempire uomini e profeti).
«Àlzati: anche io sono un uomo!» (v. 26): Zuccari rende visivamente queste parole di Pietro che – terminato il Battesimo del centurione – con la mano sembra proprio invitarlo a rimettersi in piedi. «Àlzati: anche io sono un uomo!»: in queste parole è racchiuso il passaggio fondamentale nel cammino di fede dell’apostolo e – con lui – di ogni discepolo. Sono la scoperta di orizzonti nuovi. La spinta dello Spirito Santo a mettersi in gioco per entrare nella casa del pagano Cornelio è presentata come un sogno e una visione simbolica. Pietro scopre così come Dio chiama a uscire, a superare una spiritualità della distanza e della separazione per arrivare invece a incontrare, a oltrepassare barriere, a non considerare nessuno escluso dallo sguardo di Dio.
Quando poi entra in quella casa e si trova di fronte a Cornelio vive una seconda grande scoperta: «anche io sono un uomo». Pietro scopre che il loro cammino è comune, che esiste una medesima condizione di umanità. È un cammino segnato dalla presenza dello Spirito che agisce nei cuori, che suscita movimenti nuovi, che apre a riconoscere proprio nell’incontro il luogo in cui condividere col fratello la fede in Gesù risorto. Pietro comprende che lo Spirito agisce precedendo ogni attività umana e ogni sua iniziativa. Questa pagina, quindi, e con essa l’affresco della Cappella Paolina, presenta non solo e non tanto la conversione di Cornelio, battezzato con tutta la sua famiglia, quanto piuttosto la conversione di Pietro, che si apre alla meravigliosa scoperta «che Dio non fa preferenza di persone» (v. 34) e che il Suo disegno di salvezza non è limitato a un popolo o a un gruppo.
La visita di Dio a Cornelio e il suo successivo incontro con Pietro aprono uno squarcio inarrestabile sulla corsa della Buona Novella. Perché Dio si rivela sorprendente ai suoi stessi fedeli, apre scenari inattesi e chiede tanto docilità quanto libertà dai pregiudizi. Il contatto quotidiano con Gesù, vissuto per anni, non era bastato a Pietro per superare l’idea che la condizione di Israele come popolo eletto non consentisse ad altri di avvicinarsi al Messia, Figlio di Dio. Un nuovo segno lo costringe a superare le proprie paure, a varcare la soglia delle leggi di purità e a guardare anche a un centurione come meritevole della propria vicinanza e attenzione. Pietro, in sé incapace di vedere oltre, ha saputo ascoltare, così che la voce del Signore lo sospingesse oltre i propri limiti e gli consentisse di riconoscere la grazia del Signore anche là dove lui non poteva nemmeno immaginarlo. C’è qualcosa di grande nelle parole dell’apostolo («In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone»: v. 34), qualcosa di profetico: c’è l’annuncio di una comunione che non consente più alcuna separazione tra i figli di Dio, perché questo è il suo sogno e questo è il suo dono. Gesù è venuto a riconciliare la nostra storia di uomini con il progetto di Dio e a rinnovare il legame tra tutti quelli che Dio vuole salvi, nessuno escluso. Il Dio che «accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (v. 35) non è ancora riuscito a convincere questa umanità della bellezza del suo sogno e chiede la nostra collaborazione, da uomini e donne liberi e desiderosi di pace e misericordia. Questo nostro tempo è, ancora, l’occasione perché si riveli questo progetto di Dio, e ognuno di noi può favorirlo o ritardarne la realizzazione. Ci saremo?