L’odierno commento artistico è relativo al “Vangelo della Risurrezione” letto all’inizio della Liturgia Vigiliare Vespertina che il rito ambrosiano pone prima della Messa del sabato sera. Siamo al termine del Vangelo di Giovanni (Gv 21,1-14) e Gesù si manifesta per la terza e ultima volta ai suoi discepoli sul mare di Tiberìade. Sono in sette – Simon Pietro, Tommaso, Natanaele, i figli di Zebedeo e altri due discepoli – ed escono in barca per pescare. Trascorre tutta la notte, senza che però venga preso nulla. All’alba compare Gesù e senza essere riconosciuto chiede loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Davanti al diniego, consiglia loro di gettare la rete dalla parte destra della barca. Il suggerimento di Gesù si trasforma subito in una pesca miracolosa, tanto che i discepoli non riescono più a tirare su la rete per la grande quantità di pesci impigliati in essa. Riconosciuto il Maestro, Pietro si getta in mare per raggiungerLo, mentre gli altri portano a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. Il brano termina con un pasto in cui confluiscono due diversi tipi di cibo: l’uno è il frutto della pesca dei discepoli, mentre l’altro – il pane – dipende esclusivamente dall’iniziativa di Gesù.
La pesca miracolosa (una delle formelle che fanno parte della Maestà del Duomo di Siena), opera che ci aiuterà nella riflessione, è di uno dei grandi maestri di inizio Trecento, il senese Duccio di Buoninsegna.
La Maestà, realizzata per l’altare principale del Duomo è il capolavoro assoluto di questo pittore, nonché una delle opere più emblematiche dell’intera arte italiana. È una grande tavola (425 x 212 cm) a due facce, che oggi si presenta tagliata a causa di un discutibilissimo intervento ottocentesco. Il lato principale – originariamente rivolto ai fedeli – è dipinto con una monumentale Vergine con Bambino in trono, circondata da un affollato gruppo di angeli e santi su sfondo dorato. Sul retro – destinato alla visione del clero –erano invece rappresentate le Storie della Passione di Cristo, divise in riquadri: uno dei più ampi cicli dedicati a questo tema in Italia. La pala era completata da una predella dipinta su tutti i lati con Scene della vita di Maria ed Episodi di Cristo risorto. Oggi, purtroppo, le formelle sono separate (visibili in una sala del Museo dell’Opera del Duomo di Siena, entrando nella quale si è colpiti da una vera e propria Sindrome di Stendhal) e possiamo solo fare delle ipotesi sulla loro collocazione originaria.
«Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete» (v. 6) dice Gesù ai suoi discepoli. Come loro, anche Duccio si lascia catturare da queste parole e traduce in immagine tanto di questo brano evangelico.
Nel dipinto, Cristo – con la mano alzata nel gesto della parola – e Pietro – paradigma di ogni credente – sono posti l’uno di fronte all’altro. Facciamo attenzione ai loro sguardi e ai movimenti delle loro mani: l’apostolo, con le braccia che si tendono a Gesù, non esita a scendere dalla barca per andare verso il Signore, si lascia incontrare dal Suo sguardo, si lascia perdonare dal Suo amore, si lascia accogliere dal Maestro. È proprio grazie a questa accettazione di un incontro, di un perdono e di un’accoglienza, allora, che Pietro può diventare la guida della Chiesa. Anche per questo egli è qui raffigurato al primo posto, davanti agli altri discepoli: lui è il primo che si lascia guardare dal Signore e, quindi, può assumere su di sé il compito di accompagnare anche gli altri dentro questa stessa esperienza.
Non a caso Gesù è posto su una roccia (quasi a riecheggiare il capitolo 7 del Vangelo di Matteo: «Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia») per sottolineare che è solo su di Lui – solida roccia – che la Chiesa può e deve porre le sue fondamenta. È solo grazie all’ascolto obbediente della Sua parola che i discepoli riescono là dove fino a pochi istanti prima avevano fallito.
Sulla barca Duccio ha posto gli altri sei discepoli che, seguendo il consiglio di Gesù, dopo una notte di inutili fatiche, hanno nuovamente ripreso la pesca. Alcuni di loro hanno il volto rivolto a Cristo, altri invece stanno tirando la rete piena di pesci: lo sforzo che fanno due discepoli per sollevarla è ben visibile attraverso le loro schiene curve. In realtà la fatica più grande dovrà ora affrontarla Pietro: così come per tre volte aveva rinnegato il Signore davanti ai servi del sommo sacerdote (Gv 18,15-18.25-27), per tre volte, ora, nel seguito di questo brano evangelico, afferma di voler bene al Salvatore. Sarà a lui che Gesù affiderà il compito di reggere in Suo nome il gregge e sarà a lui che dirà: «Seguimi» (Gv 21,19).
Le tonalità del dipinto tendono all’oro e al rosso: Duccio ci consegna un’opera dove anche i colori trasmettono quella sensazione di calore che ci pervade se ci facciamo avvolgere dall’abbraccio di Gesù. Tanto varie sono le gradazioni cromatiche degli abiti dei discepoli, quanto differenti sono le loro azioni. E questo perché – ci mostra il pittore senese – esistono ruoli e carismi diversi nella Chiesa; l’importante, però, è che l’attenzione di tutti i credenti sia sempre rivolta a Gesù.
Dopo una notte di vane fatiche, finalmente la pesca ha dato i suoi frutti. La rete è fragile, ma non si rompe: è Gesù, il Risorto, che realizza l’unità della Chiesa. Il senso di comunità è qui leggibile nei due pescatori che si aiutano per sollevare la stessa rete, nonché nei discepoli che hanno lo sguardo rivolto a Gesù, pronti a seguirlo per cominciare una nuova vita.
Con quest’opera, Duccio ci ricorda che, prima di ogni iniziativa e strategia pastorale, a noi è chiesto di mettere personalmente gli occhi su Gesù e di lasciarci incontrare dal suo sguardo. Solamente così la rete si può riempire; solamente così, col Suo aiuto, si diventa “pescatori di uomini”; solamente così la comunità cristiana può nascere e crescere in pienezza.
Una curiosità: perché l’evangelista si preoccupa di segnalare il numero esatto di centocinquantatré pesci? Già san Girolamo, a cavallo tra il IV e il V secolo, aveva tentato di dare una spiegazione ricorrendo alla zoologia di allora che – secondo una sua personale opinione – catalogava proprio centocinquantatré specie ittiche, che diventano così simbolo dell’intera umanità a cui si sarebbero dovuti rivolgere i discepoli di Cristo, novelli “pescatori di uomini”. Sant’Agostino, invece, ricorreva in modo più sofisticato alla matematica: essendo centocinquantatré una cifra triangolare (3´3´17) la cui base è 17 – ossia 10+7, i due numeri biblici che indicano moltitudine e totalità –, essa simboleggia la pienezza della Chiesa. Ulteriori innumerevoli ipotesi che sono state proposte partono dalla “gematria”, che associa un valore numerico a ognuna delle lettere dell’alfabeto ebraico. Facciamo però nostra l’interpretazione più semplice: perché non vedere in quel numero così elevato (che si presta a celebrare simbolicamente l’abbondanza dei frutti della missione) il desiderio dell’evangelista di mostrare che la sua è una testimonianza oculare, concreta, per dimostrare che il messaggio evangelico nasce – attraverso una attestazione diretta – da una vicenda storica, verificabile e documentabile?
Anche se Duccio non la traduce in immagine, un’ultima suggestione missionaria ci viene dal pasto descritto al termine del brano. In fondo, è proprio nella “colazione” mattutina sulla riva del lago che confluiscono tutti i fili della trama del racconto. La domanda del versetto 5 («Figlioli, non avete nulla da mangiare?») è il motore che sospinge l’intera narrazione. Gesù non cerca del cibo per sé: fin dall’inizio è preoccupato che i discepoli abbiano qualcosa da mangiare e fa poi in modo che ciò avvenga. Se da una parte c’è il pane (come si è detto, frutto esclusivo della Sua iniziativa), dall’altra Gesù invita i discepoli a portare anche qualcosa di ciò che hanno pescato. Il Vangelo, però, sottolinea chiaramente che con le loro sole risorse i discepoli non sarebbero stati in grado di portare nulla: l’unica pesca possibile è quella che avviene basandosi sulla parola del Maestro. Solamente se al cibo predisposto da Gesù si aggiungerà il frutto dell’attività missionaria dei discepoli, sarà possibile incontrare il Risorto e sperimentarne la manifestazione. Gesù esige dai suoi – e anche da noi, quindi – che, accanto al Suo pane, ci sia anche il frutto della loro testimonianza e della loro azione missionaria verso le moltitudini degli uomini: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?».