Il brano evangelico odierno (Matteo 3,1-12) ci porta nel deserto della Giudea e ci mette di fronte a Giovanni il Battista che proclama alle folle che – da Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano – accorrevano a lui per farsi battezzare, confessando i loro peccati.
È con mirabile abilità che Domenico Bigordi, noto ai più come il Ghirlandaio, ci ha lasciato una testimonianza di formidabile impatto emotivo nella cappella Tornabuoni della basilica di Santa Maria Novella a Firenze.
Domenico fu uno dei più grandi protagonisti del Rinascimento e della città di Firenze, dove nacque nel 1448, all’epoca di Lorenzo il Magnifico. Giorgio Vasari così introduce la sua figura ne Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori: «Domenico di Tommaso del Ghirlandaio, il quale per la virtù e per la grandezza e per la moltitudine dell’opere si può dire uno de’ principali e più eccellenti maestri dell’età sua, fu dalla natura fatto per esser pittore». Formatosi alla prestigiosa bottega di Andrea del Verrocchio, frequentata da altri giovani talenti come Sandro Botticelli, Pietro Perugino, Luca Signorelli, nonché dallo stesso Leonardo da Vinci, negli anni in cui opera nella Cappella Tornabuoni il Ghirlandaio era all’apice della sua fortuna artistica, avendo finito di lavorare a Roma nella Cappella Sistina, al servizio di Sisto IV.
Nell’affresco della Predicazione del Battista, san Giovanni viene ritratto al centro della scena, su una roccia, mentre istruisce una gran folla assiepata a cerchio attorno a lui. È vestito con gli abiti coi quali siamo abituati a vederlo («… portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi …»: Mt 3,4). Con la destra indica una croce che tiene con l’altra mano, mentre dal sentiero in alto sulla sinistra appare Gesù che, serissimo, si pone in suo ascolto. Ecco lo sposo preannunciato anche nel Vangelo di Giovanni: «Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. […] Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,29-30). Il Battista, quindi, è soltanto “l’amico dello sposo”, chiamato da Dio a preparare gli uomini all’incontro con il Messia.
Tipico della bottega del Ghirlandaio è il gruppo delle donne sulla sinistra, tra le quali spiccano la figura di spalle e, al centro, quella seduta, sempre voltata di schiena, con il bambino nudo che sta ai piedi del Battista.
Molteplici sono gli spunti di riflessione che nascono davanti a quest’opera.
La piena ebraicità del Battista è plasticamente sottolineata dalla divisione degli uditori. Come in una sinagoga, le donne e gli uomini sono nettamente separati: sulla sinistra le une, sulla destra gli altri. Giovanni, in fondo, può essere considerato come l’ultimo dei profeti dell’Antico Testamento, come colui che – riprendendo un passo di Isaia – «prepara la via del Signore» (v. 3), quella via che si apre, chiara e diritta, alle sue spalle.
Come il brano evangelico che questo affresco ci aiuta a meditare, tutta la narrazione – sia letteraria che pittorica – si incentra sul motivo della contrapposizione (che si concluderà nel successivo racconto del battesimo di Gesù) tra i due poli del racconto e del dipinto. Da una parte c’è Giovanni, il battezzatore, che è meno di un servo; dall’altra c’è «il più forte, che viene dopo» (v. 11), colui che è più che Signore. Da un lato troviamo un battesimo con acqua per la conversione (v. 11), dall’altro avremo un battesimo «con Spirito Santo e fuoco». Nella prima parte il Battista si erge ad annunciatore del giudizio (v. 10), mentre nella seconda il protagonista diventa Gesù che, giudice, è il purificatore della sua aia (v. 12). È una contrapposizione tra due diverse concezioni messianiche. È questo il motivo principale.
Ma non è certo tutto. C’è anche l’insistenza sul tema del giudizio, che l’evangelista dichiara essere imminente («Già la scure è posta alla radice degli alberi»: v. 10). E il fatto di appartenere al popolo di Abramo non è una ragione per ritenersi al sicuro: non conta la razza, ma la fede e la conversione. Nelle parole del Battista c’è un duplice invito. Il primo è quello di non cullarsi in una facile sicurezza, falsa perché fondata su cose sbagliate: la salvezza non è un fatto scontato per nessuno; anche il giusto deve convertirsi. Il secondo è invece rivolto ai pii israeliti, che sono invitati a uscire dalla loro visione particolaristica, perché il giudizio segue criteri che non sono scontati: i figli di Dio non sono prerogativa di Israele e Dio può suscitare figli di Abramo dovunque.
Torniamo alla suddivisone tra donne e uomini. È significativo che la stragrande maggioranza di questi ultimi non guardino Giovanni, ma parlino tra di loro, confusi e increduli, colpiti dalle dure parole del profeta. Sono molte, invece, le donne che lo osservano, attente a ciò che il Battista sta dicendo. Il Ghirlandaio sembra quasi volerci anticipare quella che sarà la conclusione dei Vangeli: saranno le donne che capiranno e rimarranno, fino alla fine, ai piedi della croce – di quella croce che il Battista indica chiaramente con la mano destra, a sottolineare il vero cuore della Buona Novella di cui lui è il precursore; così come saranno le donne le prime testimoni del Cristo risorto.
E che dire del bambino ai piedi di Giovanni? Anche qui il pittore vuole sottolineare che anche i fanciulli saranno – con le donne – i privilegiati della predicazione di Gesù: proprio loro, nella loro “nudità”, nella loro insignificanza, nella loro vulnerabilità – ma anche nella loro capacità di sapersi fidare e di stupirsi – diventano i paradigmi per coloro che vorranno entrare nel regno dei cieli.
E, nell’affresco, il Ghirlandaio mette anche Firenze. A voler mettere in evidenza che tutti coloro che accorrevano da Gerusalemme per un battesimo di conversione altro non sono che il simbolo degli uomini di tutta la terra e di tutti i tempi. Siamo, in fondo, noi uomini, tutti noi, i chiamati alla conversione e – come ci indica Giovanni Battista – a seguire Gesù. Noi uomini, a volte forti e generosi; a volte stanchi e vacillanti nella fede. Noi uomini, che viviamo nella quotidianità della nostra vita, con gli incontri che facciamo nelle nostre città; e che ci riconosciamo –sia a livello personale che di comunità – nell’ambivalenza, con le nostre risorse ma anche con la nostra fragilità. L’annuncio viene affidato a noi uomini, poveri e generosi, resi ricchi dalla sequela del Maestro eppure sempre deboli nella nostra umanità. E ci viene affidato per formare una Chiesa, santa per la santità di colui che l’ha fondata, ma insieme fragile e peccaminosa; una Chiesa capace anche di scandalizzare, ma insieme luogo di carità e testimonianza.